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Licenziamenti di comodo? No,grazie. [articolo 18 Statuto dei lavoratori].

Molte sono le cause che portano all’estinzione del rapporto di lavoro; tra queste vi è il recesso unilaterale, che da parte del datore, costituisce licenziamento e, dal lato del lavoratore, prende il nome di dimissioni. Accanto a questo tipo di estinzione del rapporto, vi è poi, la risoluzione consensuale, soggetta, nel tempo, a forte limitazione, quale motivo per aggirare i limiti legali. La terza ipotesi di estinzione del rapporto è l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, sia per cause inerenti all’attività dell’impresa che per cause riguardanti la persona del lavoratore. Questa specificazione integra quella che sarà la disciplina del giustificato motivo oggettivo e soggettivo di licenziamento, introdotto con la L. n.604/1966.

Recesso ad nutum (senza giustificato motivo) quando è possibile?

E’ bene precisare che il Codice Civile e, specificatamente l’art. 2118, ammette il recesso dal contratto a tempo indeterminato, da parte di ciascuno dei contraenti, con il solo obbligo del preavviso, con la funzione di attenuare le conseguenze pregiudizievoli, derivanti da un atto unilaterale come il recesso, nella misura stabilita dai contratti collettivi, quindi senza giustificare il motivo dell’atto unilaterale. Lo stesso articolo stabilisce che, qualora manchi proprio la determinazione del preavviso, quale unico obbligo, il recedente è tenuto a corrispondere all’altra parte l’indennità di mancato preavviso, corrispondente alla retribuzione che gli sarebbe spettata per il periodo del preavviso.

Recesso vincolato (con giustificato motivo)

Vari interventi legislativi si sono susseguiti riguardo l’obbligo di integrare nel recesso, oltre al preavviso, anche il giustificato motivo, oggettivo o soggettivo, a seconda dei casi. La disciplina in questione è dettata dalla già citata L. n.604/1966, riguardo sempre ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato, come stabilito dall’art. 2118 c.c. Tale norma ha così stabilito che il datore di lavoro può pervenire, nell’ambito del suo potere di recesso, a licenziare il lavoratore solo previa comunicazione scritta e, dove richiesto dal lavoratore, la determinazione dei motivi del licenziamento, subordinatamente alla previsione o di “giusta causa” o di “giustificato motivo“. In mancanza, egli è obbligato alla riassunzione o, alternativamente, al pagamento di una penale, a titolo di risarcimento, la cosiddetta “tutela obbligatoria“.  Tuttavia, i limiti che tale norma incontra sono inerenti alle caratteristiche dimensionali dell’impresa che comprende più di 35 dipendenti, e all’applicabilità della disciplina solo per i soggetti iscritti ai sindacati stipulanti.

Nella tutela obbligatoria, il licenziamento intimato in assenza del giustificato motivo o della giusta causa comporterà solo l’illeicità dello stesso, senza peraltro impedire l’effetto estintivo del rapporto, fatte comunque salve le relative sanzioni. L’ammontare spetta al giudice, ma può variare da un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilità, aumentata a seconda degli anni di anzianità del lavoratore.

Articolo 18 statuto dei lavoratori (L. 20 maggio 1970 n.300)

Una più ampia tutela a riguardo è stata introdotta con l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il quale prevede, come unica conseguenza possibile del licenziamento illegittimo, cioè senza “giusta causa” o “giustificato motivo”, la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno. E’ questa la previsione della “tutela reale” che, tuttavia, è soggetta anche qui al limite dimensionale dell’impresa, comprendente almeno 15 dipendenti per unità produttiva. Nella tutela reale, il licenziamento, intimato in violazione dell’obbligo della giusta causa o giustificato motivo, verrà dichiarato annullabile e, pertanto, privo di effetti, al contrario di ciò che avviene nella tutela obbligatoria.

L. n 108/1990

A tutela dei dipendenti che lavorano presso piccole imprese che non ricoprono i tetti numerici minimi e che per tale motivo non rientrerebbero nella tutela prevista, è intervenuta la Corte Costituzionale, per ridefinire il campo d’azione sia della tutela reale che quella obbligatorie e, sancendo, l’obbligatorietà della giustificazione del licenziamento da parte del datore che lo mette in atto, a favore di tutti lavoratori. Perciò quello che prima era la regola, cioè il recesso ad nutum, è diventata ora l’eccezione. In questo modo, l’unico licenziamento legittimo è quello intimato o per giusta causa o per giustificato motivo, oggettivo o soggettivo. Solo per alcune categorie di lavoratori il recesso ad nutum è ancora possibile e cioè:

  • i lavoratori domestici;
  • gli sportivi professionisti;
  • i lavoratori in prova, ma solo se essa non sia diventata definita e non siano trascorsi 6 mesi dall’inizio del rapporto;
  • i lavoratori anziani che abbiano maturato il diritto alla pensione di vecchiaia e che quindi abbiano anche compiuto 65 anni;
  • i dirigenti, sottoposti a una autonoma disciplina.

Recesso per “giusta causa”

Un altro licenziamento possibile è quello intimato per giusta causa, sempre nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, come sancisce l’art. 2219 c.c. Tale licenziamento non è soggetto all’obbligo del preavviso, proprio perché subentra nei casi straordinari, in cui l’efficacia del rapporto cessa immediatamente. Ovviamente, qualora non venga accertata siffatta causa, il datore che provvede a licenziare un suo dipendente, incorrerà nell’indennità di mancato preavviso. Solo in un caso è previsto che, al lavoratore che richieda le dimissioni per giusta causa, venga disposta anche l’indennità di mancato preavviso e cioè quando esse sono rese in conseguenza a un fatto dipendente dal datore, il quale ha provveduto a licenziare senza preavviso. La giusta causa è in ogni caso esclusa nelle ipotesi delle procedure concorsuali, quali il fallimento o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda. Questo perché se fosse ammessa, sarebbe un modo per eludere l’obbligo del preavviso.

Infortunio, malattia, puerperio, e gravidanza: impossibilità sopravvenuta della prestazione.

In questi casi, in cui la prestazione è temporaneamente sospesa, il codice civile prevede una parziale tutela per il lavoratore che si trova in una situazione di  bisogno. L’art. 2110 c.c stabilisce che è escluso il licenziamento ad nutum, ma solo quello per giusta causa. Le conseguenze per il lavoratore sono la sospensione del rapporto e la relativa retribuzione, con conservazione del posto di lavoro. Ovviamente, se tale periodo si protrae per un tempo prolungato, il datore può provvedere a licenziare il lavoratore per giustificato motivo soggettivo, in quanto incorre in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, tali da rendere inutile l’interesse a ricevere la prestazione da parte del datore.

Impugnazione del licenziamento illegittimo

La L. n.604/1966 definisce anche le modalità per l’impugnazione del licenziamento e, in particolare, stabilisce che il lavoratore, diversamente da quanto avviene nella maggior parte dei negozi invalidi, possa proporre, oltre che l’azione giudiziale, anche il procedimento stragiudiziale, che si esplica attraverso comunicazione diretta al datore di voler procedere al ricorso o attraverso l’intervento del sindacato, entro il termine di 60 giorni dalla ricezione della comunicazione del licenziamento.

Entro il termine di 270 giorni dal provvedimento stragiudiziale, deve seguire il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice del lavoro, oppure la richiesta, fatta pervenire alla controparte, del tentativo di conciliazione. Decorsi 60 giorni dal deposito o dal mancato accordo tra le parti, il ricorso deve essere depositato al giudice, per la successiva emanazione della sentenza.

Dichiarato illegittimo il licenziamento, sul datore grava un generale obbligo di reintegro del lavoratore nell’azienda, mediante invito a riprendere servizio. Se il datore non ottempera al suddetto obbligo, verserà in una situazione di “mora credendi“, cioè immotivato rifiuto a ricevere la prestazione, con il relativo obbligo della retribuzione, anche se a mancare è proprio l’esecuzione della prestazione. Dall’altra parte, il lavoratore, ricevuto l’invito a tornare sul posto di lavoro, deve riprendere l’attività entro 30 giorni, decorsi i quali, il rapporto si intende risolto per dimissioni. In questo caso, in alternativa alla reintegrazione, al lavoratore spetta un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il datore si trovi in una condizione di difficoltà, per la quale  gli è impossibile temporaneamente reintegrare il lavoratore, dovrà versargli un’indennità non inferiore a 5 mensilità, a titolo di risarcimento danno, per il periodo che va dal licenziamento all’effettiva reintegrazione, e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali. La sua è una funzione risarcitoria che si tramuta in funzione di sanzione comminatoria nel caso in cui il lavoratore non è reintegrato.

Art. 28 statuto dei lavoratori: repressione della condotta antisindacale

Il lavoratore, sottoposto al potere unilaterale del datore, può incorrere nel licenziamento intimato per cause di natura discriminatoria. A questo proposito si applica lo strumento processuale previsto dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, finalizzato alla tutela di un interesse collettivo, quale il rispetto della persona in quanto individuo, sul posto di lavoro, con cui si ha in ogni caso l’effetto del reintegro del lavoratore, ma il datore che non ottempera agli obblighi previsti, andrà incontro alle sanzioni disposte dall’art. 650 c.p. e cioè “inosservanza dei provvedimenti d’autorità”,per ragioni di sicurezza pubblica, per cui è previsto l’arresto fino a 3 mesi e un’ammenda fino a 206 euro.

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Disciplina del “pubblico impiego” : caratteristiche e funzioni.

Il rapporto di pubblico impiego rientra in quei “rapporti speciali di lavoro”, in cui oltre a essere garantita un tutela diversa del lavoratore, è coinvolto un interesse pubblico, a causa della natura pubblica del datore di lavoro, quale lo Stato o un ente territoriale, come le Regioni, Province e Comuni.

Da sempre la figura dell’impiegato pubblico è stata al centro di un lungo dibattito, riguardo la sua duplice funzione di funzionario e lavoratore subordinato. Per questo motivo, due sono sostanzialmente i rapporti intercorrenti tra la P.A. e il lavoratore:

  • rapporto organico, cioè di preposizione agli incarichi di ufficio;
  • rapporto di servizio, vero e proprio contratto di lavoro, da cui discendono, per entrambi, diritti e obblighi.

Evoluzione storica del pubblico impiego

In passato, il rapporto di pubblico impiego si costituiva, non per contratto, ma attraverso atti unilaterali, come il “provvedimento di nomina“, sia per quanto riguarda le assunzioni, sia per tutte quelle modifiche relative al medesimo rapporto, quali, ad esempio, la trasformazione da tempo pieno a parziale, da tempo indeterminato a determinato,etc; inoltre, le controverse di lavoro erano affidate al giudice amministrativo, il T.A.R in primo grado e il Consiglio di Stato, in appello.

Solo a partire dagli anni ’70 si sono affermate nella P.A., a sostegno degli impiegati pubblici, le organizzazioni sindacali che hanno cominciato a utilizzare il metodo della negoziazione collettiva all’interno del rapporto. Il punto di svolta della disciplina si è avuto con la Legge-quadro sul pubblico impiego del 1983.

Con questa normativa si è cercato di avvicinare la disciplina dell’impiego pubblico a quello del lavoro privato, attraverso l’assimilazione del primo al secondo. Tuttavia “l’accordo sindacale” rappresenta qui ancora un momento del procedimento amministrativo che sfocia in un atto unilaterale di ricezione da parte della P.A., come avviene tuttora per alcune categorie, per cui è prevista un’autonoma disciplina: forze militari, forze di polizia, avvocati, magistrati, dirigenti;  la contrattazione collettiva si inserisce in alcuni aspetti della disciplina del pubblico impiego non soggetta a riserva di legge, né ad atti unilaterali della P.A. Questo processo riformatore è stato favorito anche dalla fase del “decentramento amministrativo della P.A.”, attuato con la L.n 59/1997, la legge Bassanini, che mira a trasferire il maggior numero di funzioni e compiti agli enti periferici e, nello stesso tempo, individuare le funzioni e le materie di stretta ed effettiva competenza statale.

L’apice dell’evoluzione normativa del pubblico impiego si ha con il D.lgs n. 165/2001, che fissa le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche e rappresenta il testo normativo di riferimento.

Il legislatore ha così stabilito:

  • i compiti che rientrano tra gli atti unilaterali della P.A. e della legge, come l’organizzazione degli uffici e delle procedure riguardanti i concorsi, che fanno parte della cosiddetta Macro-organizzazione; e  le materie assoggettate alla disciplina privatistica, come la disciplina del rapporto di lavoro, rientranti nella Micro-organizzazione;
  • i compiti di indirizzo politico-amministrativo, spettanti al Governo; e i compiti di gestione di uffici e dei rapporti di lavoro, spettanti ai Dirigenti.
  • l’ampliamento della contrattazione collettiva, riconoscendo nell’ A.r.a.n, l’organo preposto a rappresentare la P.A. nella stessa negoziazione.
  • riconoscimento dei diritti sindacali contenuti nello statuto dei lavoratori, a prescindere dal numero dei dipendenti.
  • l’assunzione avviene con contratto individuale di lavoro, rispettando l’obbligo del concorso, sancito nell’art 97 Cost.
  • in riferimento alle mansioni, è fissata una deroga all’art 2103 c.c., in quanto “il dipendente pubblico deve essere adibito alle mansioni per le quali è assunto o a quelle corrispondenti alla qualifica superiore successivamente acquisita per effetto delle procedure selettive, quali i concorsi, o a quelle equivalenti all’area di inquadramento”. Inoltre l’assegnazione temporanea a mansioni superiori attribuisce una maggiorazione della retribuzione, ma può essere disposta solo per periodi di sei mesi, prorogabili a dodici e tale periodo non costituisce mai il presupposto per una promozione;
  • sempre in riferimento all’area di inquadramento si collocano le cosiddette “progressioni economiche” e “l’avanzamento di carriera“, che avvengono, rispettivamente, all’interno della stessa area o tra aree differenti. Le prime vengono “assegnate” secondo principi di selettività e attribuzione di fasce di merito; le seconde sono “conseguite” attraverso i concorsi pubblici, riservando comunque il 50% dei posti all’accesso da parte di soggetti esterni alla P.A. ma con competenze necessarie ad entrarvi.

Flessibilità nella P.A. – Riforma del mercato del lavoro: D.lgs. n.276/2003

Attualmente le pubbliche amministrazioni possono utilizzare solo alcune delle forme di lavoro flessibile introdotte con la nuova riforma per il settore privato.

  • il contratto di lavoro a tempo determinato;
  • la somministrazione a tempo determinato, escluso per i soggetti che svolgono funzioni direttivi e dirigenziali;
  • il contratto di formazione e lavoro (c.f.l.).

Tuttavia, il ricorso a tali contratti è possibile solo per esigenze temporanee ed eccezionali, adeguatamente valutate, al contrario di quanto avviene nel settore privato.

La struttura del sistema contrattuale

Tutto il sistema contrattuale della pubblica amministrazione si fonda sul “contratto nazionale di comparto“, come nel settore privato lo è il “contratto nazionale di categoria”, a livello centrale. Ovviamente, nei casi in cui alcune materie abbisognano di una disciplina più dettagliata e omogenea, vengono stipulati gli “accordi quadro“, analogamente a quanto avviene nel settore privato con gli “accordi interconfederali”. Anche per le Regioni e gli enti territoriali sono attivati autonomi livelli di “contrattazione collettiva integrativa“, che operano in concomitanza con i contratti nazionali.

I soggetti della contrattazione: la rappresentanza dei lavoratori

Per poter accedere al meccanismo della contrattazione collettiva il sindacato che rappresenta i lavoratori deve essere rappresentativo. Sono esclusi dal computo tutti i sindacati che non raggiungono nemmeno la soglia del 5% dell’indice di rappresentatività.

Il contratto collettivo, tuttavia, per essere stipulato, deve essere sottoscritto dai sindacati che ottengono il 51% della rappresentatività, come media tra il dato associativo e il dato elettorale, o con il 60% se si considera solo il dato elettorale.

I soggetti della contrattazione: la rappresentanza delle amministrazioni

Dal lato della P.A., il soggetto legittimato a sottoscrivere i contratti collettivi di comparto con i sindacati più rappresentativi, è L’A.r.a.n, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, dotato di personalità giuridica. Questo organo opera attraverso “atti di indirizzo“, espressi da Comitati di settore. Ne sono previsti tre:

  • il comitato per le regioni;
  • il comitato per gli enti locali, come le province e i comuni;
  • il comitato per tutte le altre amministrazioni pubbliche, per le quali opera il Presidente del Consiglio dei ministri, insieme al Ministro dell’economia e finanze.

Gli atti di indirizzo dei primi due sono sottoposti all’esame valutativo del Governo, per adeguarli alle linee di politica economica nazionale.

Procedura contrattuale nella P.A.

Affinché il contratto collettivo di comparto venga stipulato sono necessarie tra fasi preliminari: la prima consiste nello stilare gli oneri di spesa a carico del bilancio dello Stato da parte del Ministro del tesoro nella legge finanziaria; dopodiché il Presidente di Consiglio e il ministro delle finanze impartiscono all’Aran i relativi atti di indirizzo , per poi procedere alla selezione dei sindacati ammessi alla trattativa, cioè quelli che hanno raggiunto un’indice di rappresentatività pari al 51%. Tuttavia il contratto è sottoscritto dietro parere favorevole del comitato di settore competente, che ha trasmesso gli atti di indirizzo, mentre l’Aran si occupa della gestione delle trattative.

Efficacia soggettiva del contratto collettivo

Essendo l’Aran l’unico rappresentante di tutta la pubblica amministrazione, ogni contratto da esso sottoscritto, diventa immediatamente vincolante per tutti i soggetti rappresentati.

Riforma del 2009

La disciplina del pubblico impiego ha subito negli anni delle modifiche, soprattutto per quanto riguarda il rapporto temporale tra legge e contratto collettivo. Inizialmente si è dato ampio potere discrezionale al contratto collettivo, il quale poteva derogare le disposizioni di legge riguardanti i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici. Ora, invece, con la nuova riforma, si è stabilito il meccanismo inverso, in quanto il contratto collettivo può regolare diversamente la materia, sia che sia stata precedentemente regolata dalla legge o da un precedente contratto collettivo, solo su espressa autorizzazione della legge.

In base a questa previsione, alla legge spetta la regolamentazione dei meccanismi di valutazione dei dipendenti e la relativa responsabilità disciplinare. Ha stabilito che spetta al dirigente la responsabilità dei comportamenti dei suoi dipendenti nelle infrazioni meno gravi, come l’assenteismo, pena la sua esposizione alle medesime sanzioni. In tutti gli altri casi egli deve trasmettere gli atti all’ufficio disciplinare competente, presente in ogni amministrazione.

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Contratto di lavoro a tempo parziale: disciplina del “part-time”

“Il part-time deve essere un diritto, non un obbligo”.

Il contratto di lavoro part-time è stato introdotto, insieme alle altre forme di lavoro flessibile (lavoro intermittente, ripartito, a progetto, occasionale), per attuare e garantire una più adeguata redistribuzione del lavoro, sia in funzione difensiva, per tutelare il lavoratore da un possibile licenziamento, e sia in funzione promozionale dell’occupazione, per quanto riguarda le nuove assunzioni che possono perciò avvenire direttamente con contratto part-time.

Dettagli della disciplina

La normativa, al riguardo, è disciplinata dal D.lgs n.61/2000, modificata in alcune parti dal nuovo D.lgs n.276/2003, per attuare concretamente i programmi di tutela del lavoratore previsti, in linea generale, a livello comunitario.

Passando ad analizzare nel dettaglio la disciplina originaria, essa stabilisce che l’assunzione del lavoratore possa avvenire a tempo pieno o a tempo parziale, sia per quanto riguarda il rapporto a tempo indeterminato che determinato.

  • Il tempo pieno è l’orario normale di lavoro, generalmente, stabilito per legge o dai contratti collettivi;
  • il tempo parziale è l’orario ridotto, rispetto a quello normale, fissato dal contratto individuale.

Con riferimento a quest’ultimo tipo è possibile distinguere il part-time orizzontale, in cui la riduzione della prestazione avviene in relazione all’orario normale di lavoro giornaliero; e il part-time verticale, in cui la prestazione giornaliera avviene con l’orario normale di lavoro e cioè a tempo pieno, ma la riduzione si esercita per i periodi settimanali, mensili o annuali.

Il contratto part-time richiede la forma scritta “ad probationem“, con l’indicazione della durata della prestazione e della sua collocazione temporale. Ciò significa che:

  • qualora manchi il documento che accerti che il contratto sia part-time, questo, su richiesta del lavoratore, possa rimanere valido ma è considerato come normale contratto a tempo pieno.
  • Se a mancare sono l’indicazione della durata o della collocazione temporale della prestazione, nel primo caso il rapporto si considera a tempo pieno; nel secondo caso la valutazione della collocazione temporale spetta al giudice, secondo le esigenze di salvaguardia del reddito del lavoratore e, per esigenze del datore di lavoro.

Modifiche per una maggiore tutela del lavoratore

La nuova disciplina del D.lgs n.276/2003 ha escluso che il suo campo d’azione si proietti nelle pubbliche amministrazioni, per le quali è in vigore solo la disciplina originaria del D.lgs n.61/2000. Detto ciò,essa ha introdotto una garanzia per il lavoratore che intenda rifiutare la trasformazione del suo rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale; per cui, un tale rifiuto non integra un giustificato motivo di licenziamento; al massimo definisce inadempimento disciplinare.

Inoltre, affinchè una simile trasformazione sia possibile è necessaria la convalida del contratto presso la Direzione provinciale del lavoro.

Altra tutela per il lavoratore è stata introdotta con il “diritto di precedenza” che deve risultare dal contratto individuale. In base a questa previsione, il datore che intenda proseguire con nuove assunzioni a tempo pieno relativamente alle stesse mansioni o a quelle equivalenti, ha l’obbligo di assumere coloro che hanno già un contratto a tempo parziale. La violazione di tale diritto comporta per il datore l’obbligo ad un “risarcimento danno” pari alla differenza tra la retribuzione percepita e quella che sarebbe spettata al lavoratore con contratto a tempo pieno.

Clausole contrattuali: flessibili ed elastiche

Il dato importante è che, con la nuova normativa, si è cercato di permettere un più frequente ricorso a questo tipo di lavoro flessibile soprattutto dal lato delle imprese che si muovono nel mercato del lavoro, sempre più esigente.

A tal proposito il D.lgs n.276/2003 ha introdotto la previsione, nei contratti individuali, di clausole (flessibili ed elastiche) che permettono una più “libera” scelta dell’imprenditore nelle modalità di ricorso al part-time.

Innanzitutto tali clausole, per poter essere utilizzate, devono essere incluse nel contratto individuale in questione.

  • le clausole flessibili permettono al datore di modificare unilateralmente la collocazione temporale della prestazione, già ridotta, sia riguardo all’orario che ai giorni. Ad esempio, se il contratto individuale prevede che la riduzione della prestazione in base all’orario e al giorno avvenga ogni lunedì dalle 8 alle 12, il datore può stabilire diversamente che essa avvenga, ad esempio, il giovedì dalle 15 alle 19.
  • le clausole elastiche permettono al datore di aumentare il numero delle ore lavorative rispetto a quello complessivo. Tuttavia queste clausole sono applicabili solo al part-time verticale, in cui la prestazione è collocata settimanalmente, mensilmente o annualmente, perciò solo al termine di questi periodi può essere utilizzata tale previsione.

Importante a questo punto analizzare anche le nozioni di “lavoro supplementare“, nel part-time orizzontale, e “lavoro straordinario“, nel part-time verticale. Il primo si esplica oltre il normale orario di lavoro fissato nel contratto individuale, ma sempre nei limiti del tempo pieno, per non integrare la disciplina del lavoro straordinario. Il secondo, come abbiamo precedente detto, si applica solo al part-time verticale e spetta ai contratti collettivi stabilire l’eventuale maggiorazione della retribuzione. Necessario però è il preavviso di almeno 2 giorni al lavoratore.

Per alcune tipologie di lavoratori è poi prevista la possibilità di scegliere liberamente che il loro rapporto si trasformi da tempo pieno a parziale, con l’esplicita previsione che il rapporto venga successivamente ripristinato nel suo “status” iniziale, su espressa richiesta del lavoratore.

  • per i lavoratori affetti da malattie oncologiche;
  • per i lavoratori/lavoratrici con figli a carico di età inferiore ai 3 anni;
  • lavoratori conviventi con persone affette da grave disabilità.

Conclusioni

Ovviamente tutte queste previsioni sulla materia non escludono la possibilità di un’eventuale abuso di potere nell’utilizzo di questa delicata normativa, che è rivolta pur sempre alla categoria del lavoratore dipendente e, proprio per questo, con una forza contrattuale generalmente più debole rispetto a quella del datore di lavoro, più volte spinto a ricorrere al part-time per esigenze prettamente inerenti all’interesse della propria impresa, piuttosto che alla tutela del lavoratore.

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Kususe's Blog

Le grida, le monetine l’ansia e la gioia facevano da sfondo al momento che in tanti aspettavano: le dimissioni di un premier, Silvio Berlusconi, incapace di governare in un momento critico come l’attuale in cui la democrazia dei popoli ha ceduto il suo passo alla finanzia internazionale.

Chi ha sostenuto a gran voce l’abuso nei confronti della democrazia greca nel momento in cui Papandreou ha indicato la volontà di un referendum, scontrandosi e arrendendosi alle reticenze di Francia e Germania, tace ora. Al contrario, esulta un governo che si appresta a fare quelle riforme che un’intera classe politica non ha saputo realizzare.
Esulta perché c’è l’evidente punto di discontinuità con il governo appena passato: Berlusconi non sarà più il Presidente del Consiglio e i Ministri saranno naturalmente differenti.
Ma quest’interruzione imposta dall’alto, benedetta dall’America di Barack Obama, voluta dai mercati e dalla Comunità Europea in primis, è la conferma di…

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Kususe's Blog

Le elezioni italiane del 1976 risultarono essere quelle in cui la DC prese meno voti nuovi rispetto ai corrispettivi del PCI e furono segnati da una frase che rimarrà, credo, negli Annales: “Mi turo il naso e voto DC”.
Fu Indro Montanelli a pronunciare questa frase. Uomo di destra, ex fascista, redentosi per la strada che il movimento mussoliniano stava intraprendendo, espluso dallo stesso partito, relegato a seguire le crisi di guerra nei Paesi per definizione comunisti, tornato in Italia con un’esperienza da non eguali. Il significato della frase che denunciava la sua non volontà di votare il Partito Comunista, rappresentava l’imbarazzo terribile di dover votare un partito il cui prossimo Presidente del Consiglio sarebbe stato Giulio Andreotti. Che di lì a poco avrebbe assunto un ruolo fondamentale nel sequestro Moro.
Ma quelli erano altri tempi. La gente si avvicinava solo da poco tempo alle elezioni essendo la Repubblica giovanissima…

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Animali nei luoghi pubblici: fuori o dentro?

Un argomento spesso controverso è proprio la disciplina che riguarda gli animali e, in particolare i cani. Quando si tratta di farli uscire dalla propria abitazione ecco che arrivano i problemi in agguato. Che sia il dirimpettaio o il comune vicino di casa o il proprietario di un locale, il cane viene spesso trattato come una cosa di cui si può far a meno e i cui interessi non sono tutelati, senza tener conto che sono esseri viventi anche loro e, a volte si comportano meglio di noi umani e, ormai sono entrati a far parte della nostra vita, come dei veri e propri membri della famiglia.

E’ bene ricordare che la materia in questione, ossia la “tutela degli animali”, è demandata ai regolamenti comunali, il cosiddetto Regolamento per la tutela degli animali, ovviamente variabile per ogni comune, che decide da sé che tipo di libertà lasciare al nostro amico a quattro zampe. In mancanza di tale regolamento si fa riferimento al Regolamento di Igiene urbana Veterinaria, oppure il Regolamento di Polizia Urbana. Se, tuttavia, manca del tutto una normativa comunale, soprattutto nei luoghi pubblici, ci viene incontro la Legge Regionale che regola la tutela degli animali e la prevenzione del randagismo.

Sia le Regioni che i Comuni improntano la loro autonoma disciplina in materia sulla Legge Quadro su animali di affezione e prevenzione del randagismo” (281/1991) e al “Regolamento Nazionale di Polizia Veterinaria”, che sono entrambi provvedimenti statali.

  • In particolare questi stabiliscono che è severamente vietato l’ingresso di cani e altri animali in locali dove si preparano cibi: cucine, ospedali e stabilimenti di confezionamento.
  • E’ invece a discrezione dell’esercente l’ingresso degli stessi in locali dove si servono cibi: ristoranti, bar, autogrill, oppure in uffici pubblici come le banche, poste, etc.., salvo in ogni caso una qualsiasi ordinanza del sindaco che regoli diversamente la questione, in ogni caso risultante da appositi documenti o cartelli. La volontà di introdurre il divieto di ingresso degli animali negli esercizi pubblici deve essere preceduto da una comunicazione all’Ufficio competente del comune e seguito quindi, dall’esposizione pubblica e, possibilmente visibile, del relativo cartello di divieto, con il riferimento alla legge menzionata.

La regola vuole che, nei locali pubblici e nei pubblici mezzi di trasporto, i cani debbano essere tenuti con l’apposita museruola, ove richiesta e, al guinzaglio non più lungo di 1,5 – 2 metri; i gatti e gli altri animali, invece, devono essere trasportati in idonei contenitori”. In ogni caso il numero di animali tollerato sui mezzi pubblici è di massimo due e, è possibile che vi venga richiesto il pagamento del biglietto per l’animale.

Cani-guida per i non vedenti

Qualunque persona ostacoli l’ingresso, nei luoghi pubblici o sui mezzi di trasporto, di cani preposti all’accompagnamento di individui non vedenti, incorre in una multa di 500 fino a 2.000 euro. Per questo tipo di cani non è obbligatorio l’uso della museruola, a meno che questa non sia richiesta espressamente dal conducente, o dai passeggeri sui mezzi pubblici.

…E se il cartello di divieto non è esposto?

Se entrate in un locale dove non è esposto alcun cartello di divieto e non è disposto alcun provvedimento comunale speciale al riguardo, avete tutto il diritto di entrare con il vostro cane e il proprietario non può impedirvi di farlo, quand’anche ci sia un’ordinanza del sindaco, perché quest’ultima deve essere affissa e ben visibile, altrimenti incorrerà nella multa prevista e comunque nel richiamo a prendere subito provvedimenti adeguati. Ci si può rivolgere ai vigili che sono tenuti ad accogliere l’esposto, in quanto riguarda “l’omissione d’atti d’ufficio”.

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Pubblicità telefonica indesiderata? come difendersi dal “ Telemarketing “

A quanti di voi è mai capitato di ricevere quelle telefonate fastidiose e indesiderate, magari alle 8 di mattina, da parte di call center o società di mercato intente a pubblicizzare o a vendere un loro prodotto, ignare del fastidio che provocano al cliente/consumatore? E quante volte ci siamo posti la domanda: Ma questi come fanno ad avere il nostro numero di casa e, soprattutto, come facciamo a dissuaderli dal chiamarci?

La legge, fortunatamente, anche in questo caso ci viene incontro. Dal 2005 è stato istituito il DBU, ossia l’archivio elettronico che raccoglie tutti i numeri telefonici e i dati identificativi di tutti i clienti che stipulano contratti con tutti gli operatori nazionali di telefonia fissa e mobile attualmente attivi sul mercato.Attraverso questo archivio è possibile ricostruire gli elenchi telefonici che ci vengono puntualmente spediti a casa, ma anche quelli online. Nel modulo di richiesta per l’inserimento dei nostri dati nel DBU, è proposto un questionario in cui si può scegliere in che modo rendere pubblici i nostri dati, ad. esempio se inserire anche l’indirizzo e-mail o un altro recapito postale per essere maggiormente reperibili.

Il problema è che noi decidiamo solo quali debbano essere i dati personali da poter essere utilizzate dalle compagnie telefoniche e non certo il modo , spesso prodigo e dissipatorio, con il quale i call center e le imprese se ne servono, magari facendo spam ovunque con pubblicità indesiderate. A tal fine, perciò, è stato introdotto un nuovo strumento per proteggere il cliente/consumatore, nonché contribuente, dagli abusi e dalla violazione della privacy.

Cos’è il Registro delle Opposizioni?

Dal 1° febbraio 2011 esiste il cossiddetto “Registro delle Opposizioni” che consente, agli utenti che si iscrivono gratuitamente, di manifestare il proprio diniego a ricevere chiamate promozionali dai teleoperatori, e quindi ad usare il proprio numero di rete fissa o mobile per fini pubblicitari o commerciali.

Come funziona?

Qualsiasi azienda o impresa, che voglia avviare una campagna pubblicitaria con qualunque utente, deve consultare inderogabilmente il suddetto registro, attraverso un istanza per averne l’accesso. Dopodiché dovrà scartare tutti i contatti ivi presenti, i quali hanno dichiarato di essere esonerati da ricevere chiamate promozionali. Nel caso, nonostante la registrazione, l’utente si senta molestato con ulteriori chiamate, dovrà segnalarlo all’autorità garante della privacy, che provvederà a comminare sanzioni all’impresa violatrice, dissuadendola dal reiterare tale comportamento.

Come avviene e quanto dura la registrazione?

Possono accedere al servizio, ovviamente gratuitamente, tutti gli utenti abbonati, il cui numero compare sugli elenchi telefonici pubblici, dal momento che sono questi che vengono investiti di tale “molestia”, visto che gli utenti privati hanno automaticamente una protezione da questa forma di “stalking pubblicitario”, non essendo registrati pubblicamente.

Le modalità sono:

La registrazione è a tempo indeterminato ma può essere in qualsiasi momenti revocata con le stesse modalità di iscrizione. Tuttavia quando cambia l’intestatario dell’utenza, la registrazione decade e, per riattivare il servizio, bisogna fare un’altra iscrizione.

Quali sono i limiti di tale tutela?

Ovviamente questro strumento esula dai casi in cui si acconsenta al trattamento dei dati personali per effettuare un contratto volontario, ad esempio, con una marca di prodotti per la casa o per ricevere news sull’abbonamento sky. Per includere la stessa tutela, è necessario inviare direttamente, alla parte con cui avete stipulato il contratto, la richiesta di cessazione della relativa pubblicità. Inoltre il registro delle opposizioni tutela qualsiasi forma di pubblicità che avvenga solo attraverso l’impiego della telefonata con operatore, quindi con la comunicazione diretta.

Come proteggersi dalla pubblicità via sms, fax o e-mail?

Per estendere la tutela anche a queste forme indirette di comunicazione basta allegare sulla vostra posta cartacea od online da spedire, l’adesivo contro la pubblicità da richiedere all’ACSI (associazione consumatori e consumatrici della Svizzera italiana). L’ACSI è un’associazione attiva dal 1974, senza scopo di lucro, che ha come obiettivo principale difendere i consumatori e far valere i loro diritti. Se avete già ricevuto la posta indesiderata, si può sempre replicare al mittente con la stessa procedura. Se il mittente si mostra recidivo, potete comunque stampare dal sito dell’ IFPDT (incaricato federale della protezione dei dati e della trasparenza), il modello di lettera “Richiesta d’accesso e di cancellazione dei dati ai mittenti di pubblicità” . Se non si riceve risposta entro 30 giorni, ci si può rivolgere all’IFPD.

Quali modifiche ha introdotto il Registro delle Opposizioni?

L’attuale disciplina del rapporto tra la tutela della privacy e il telemarketing si basa sul principio dell’ “OPT-IN”. In pratica l’uso dei dato personali è vietato se non previo consenso dell’utente. Con l’introduzione del registro, invece, il principio è di “OPT-OUT”. Il principio è ribaldato, permettendo così, un ampio uso dei propri dati personali a meno che l’utente non esprima il proprio dissenso. Perciò sarà possibile contattare chiunque, salvo coloro che hanno fatto esplicitamente richiesta di essere esonerati.

Raccomandazioni e consigli

Purtroppo, ancor oggi, una tutela davvero efficace e generale non è stata ancora messa a punto e, tra l’altro, c’è ancora tanta disinformazione a riguardo. Alcuni accorgimenti potrebbe aiutare:

  • non inserire il proprio e-mail nei vari elenchi online (che comunque servono a poco)
  • dotarsi di due o più indirizzi diversi, poi divulgare con parsimonia il primo e utilizzare gli altri quando non si sa che uso ne verrà fatto
  • non buttare via soldi nell’acquisto di programmi “anti-spamming”: non servono a niente.

E’ bene, in ogni caso, consultare prima gli entri previsti per la tutela della privacy e dei dati personali e, prestare attenzione alle clausole dell’utilizzo degli stessi che prevedono il consenso dell’interessato.

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Ddl intercettazioni: modifiche comma 29

Dopo una lunga attesa fatta di polemiche e dibattiti sulla questione della legittimità del comma 29 del relativo art. 1 del dll (disegno di legge), finalmente qualcosa è cambiato.

Il 5 ottobre 2011 è stato modificato il testo normativo del comma 29, richiamando l’obbligo di rettifica, per quei siti, i cui articoli risultano lesivi, solo per le testate giornalistiche online, cioè quelle che sono regolarmente registrate alla stampa. Stando così le cose, sono salvi tutti quei blog personali o comunque privati, che continuano ad essere sanzionabili sono dal reato di diffamazione, già disciplinato e, quindi, rimangono formalmente liberi. Un respiro di sollievo ancora una volta per la libera informazione su internet, che rischiava di essere intaccata da un controllo invasivo e, per di più, immotivato.

Per mercoledì è previsto il voto della Camera sul suddetto disegno di legge, per ora approdato alla Commisione Giustizia della Camera che ne ha richiesto la modifica.

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ddl intercettazioni (comma 29): legge bavaglio/ammazza blog?

Questo riporta il disegno di legge che il governo vuole insistentemente far approvare alla camera riguardo le intercettazioni:

Il Disegno di legge – Norme in materia di intercettazioni telefoniche etc.,  alla lettera a) del comma 29 recita:

«Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono.»

Parole che solo a leggerle fanno paura! pensate invece se tutto ciò diventasse realtà… a me personalmente mette tanta rabbia e delusione, mettiamoci anche sconcerto per questo governo che fa di tutto per imbavagliare la libera espressione soprattutto quella sul web che si diffonde a macchia d’olio e risulta essere quella più efficace e pericolosa.

cosa dice il ddl?

In base a tale proposta normativa, chiunque, anche a titolo gratuito e, soprattutto, indipendentemente dalla veridicità e dal peso che le parole assumono in un blog, sito internet, testata giornalistica on-line, può arrogarsi il diritto e la presunzione di inviare, al relativo colpevole, una richiesta di rettifica di quanto scritto che possa offendere la sua persona e a domandarne la modifica o addirittura la cancellazione totale dei contenuti, tutto ciò entro 48 ore. Roba da niente per i giornali telematici che lavorano full time e impiegano pochissimo tempo a realizzare un articolo. Ma pensate ai tanti blogger che, per qualunque ragione, non hanno il tempo materiale da trascorrere davanti al pc, magari perché in quel periodo si è ammalato, è fuori per lavoro, o in vacanza, quant’altro; sarebbe un vero problema che nel giro di qualche ora li vedrà relegati, spesso ingiustamente, al pagamento di una penale di 12.550 euro!

Considerate che almeno uno dei vostri articoli possa contenere parole, nomi di persone importanti, critiche al loro pensiero, che, senza farlo apposta possono essere oggetto di rettifica e della relativa sanzione. Non tutti sanno che il reato di diffamazione esiste già ed è correttamente disciplinato e in vigore. Aggiungere un’ulteriore specificazione a questa norma senza le relative tutele mi sembra un affronto a internet ma, in primo luogo, a noi lettori e scrittori ma soprattutto utenti di questa rete virtuale che, ormai, è rimasta l’unico spazio ancora libero e  autentico ed è proprio per questo che dobbiamo difenderlo da questi assassini dell’informazione!

Ora, siamo tutti d’accordo alla tutela dell’individuo e della sua dignità di fronte ad oggettive cause di denigrazione, umiliazione e quant’altro, ma arrivare  a concedere la possibilità, così incontrollata, di affidare al “buon” senso, che tanto buono a volte non è, e alla propria interpretazione così soggettiva, a seconda della sensibilità della gente/lettore, che un qualsiasi articolo, magari innocuo, venga cancellato per sempre è troppo!. La cosa inaccettabile è che non ci sarà più l’opportunità di discutere e, nel caso, correggere  qualsiasi contenuto lesivo, andando a ledere anche la neutralità e l’indipendenza del sito e , soprattutto , del titolare dello stesso.

scandalo Vasco Rossi/Nonciclopedia

Tutto questo all’indomani dello scandalo Vasco Rossi che ha fatto chiudere temporaneamente Nonciclopedia perché risultata troppo oltraggiosa nei confronti della sua immagine di rockstar. Il fatto è che proprio tale sito è conosciutissimo per questo tipo di articoli spudoratamente ironici e, inquadrato in quest’ottica, la cosa non dovrebbe destare scalpore, soprattutto ad un artista come lui che dovrebbe essere abituato alle critiche maliziose. Sicuramente ora ci sarà un processo e già immagino come andrà a finire ma, a mio avviso, l’immagine del cantante si è infangata ancor di più per questa umiliante sceneggiata di Vasco.

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“Passo Carrabile”, quando è autorizzato?

Partendo dal presupposto che ormai è diventato un uso comune affiggere cartelli di “passo carrabile” ovunque, resta ora da capire quando esso è autorizzato e, pertanto legale, e quali sono le modalità e le regole da rispettare per permetterne l’affissione.

Innanzitutto occorre precisare la definizione di “accesso”, disposta dall’art. 22 del Codice della strada:

si definiscono accessi:

  • le immissioni di una strada privata su una strada ad uso pubblico;
  • le le immissioni per veicoli da un’area privata laterale alla strada di uso pubblico;
  • gli accessi di cui al comma 1 si distinguono in accessi a raso, accessi a livelli sfalsati e accessi misti.
  • Sono passi carrabili anche gli accessi ad aree destinate all’esposizione, vendita, manutenzione dei veicoli.

Come avere l’autorizzazione

Si fa domanda all’ente proprietario della strada, di regola il proprio Comune, rispettando la disciplina sull’edilizia e urbanistica, e corrispondendo il relativo canone annuale, TOSAP (tassa occupazione spazi ed aree pubbliche).

Requisiti e modalità per l’autorizzazione

  • Devono essere costruiti con materiali durevoli, di adeguate caratteristiche;
  • Deve essere collocato ad almeno 12 metri dalle intersezioni;
  • Devono essere visibili ad una distanza pari allo spazio di frenata risultante dalla velocità massima consentita sulla strada medesima; solo in casi particolari la distanza minima dalle intersezioni potrà essere ridotta a 3 metri dalle intersezioni;

  • Devono sempre consentire la rapida immissione del veicolo nella proprietà e comunque non ostacolare la fluidità della circolazione stradale; qualora l’accesso alle proprieta’ laterali sia destinato anche a notevole traffico pedonale, deve essere prevista una separazione dell’entrata carrabile da quella pedonale.
  • Qualora l’accesso dei veicoli alla proprietà laterale avvenga direttamente dalla strada, deve essere arretrato l’elemento di chiusura allo scopo di consentire la sosta di un veicolo in attesa di ingresso fuori della carreggiata (ml. 4,50 per le autovetture). La zona di arretramento deve essere sempre pavimentata. All’arretramento si può derogare utilizzando un sistema di apertura automatico con comando a distanza nel caso di obiettive impossibilità costruttive;

  • Deve essere collocato ad un’altezza da terra non inferiore a ml. 0,60 e non superiore a ml. 2,20;
  • Non deve essere collocato su elementi mobili come cancelli, porte o catene, che se aperti non consentono di osservare il segnale;
  • E’ consentita l’apertura di passi carrabili provvisori per motivi temporanei quali l’apertura di cantieri o simili. Deve in ogni caso disporsi idonea segnalazione di pericolo allorquando non possono essere osservate le distanze dall’intersezione (almeno 12 metri o, in casi particolari, 3 metri).
  • Deve riportare il numero dell’autorizzazione e l’indicazione dell’anno del rilascio. Non hanno alcuna validità i cartelli di passo carrabile non forniti dal Comune.
  • In caso di modifica di marciapiede esistente, è il caso degli scivoli, è vietato realizzare gradini o qualsiasi cosa che impedisca il passaggio; è opportuno accompagnarlo con rampe di pendenza rispondente alla normativa sulle barriere architettoniche, utilizzando materiale dello stesso tipo del marciapiede. In caso di chiusura di passo carrabile esistente, dovrà essere ripristinato, a cura e spese del richiedente, il suolo pubblico antistante, cioè riportarlo a com’era prima.
  • Di regola è il Comune che sceglie fra i vari tipi di passo carrabile (lastra in alluminio, segnali orizzontali nella carreggiata,etc..) secondo le caratteristiche della strada interessata. Il titolare che ha ottenuto l’autorizzazione ad affiggere il passo carrabile può, a sua discrezione e a proprie spese, tracciare segni orizzontali per delimitare l’area adibita al passo carrabile, ovviamente rispettando quelle che sono le misure previste dal Codice della Strada.

importanteIn presenza del cartello di passo carrabile è vietata anche qualsiasi altra utilizzazione dell’area antistante l’accesso. Non è consentito neanche al titolare della concessione di sostare od occupare l’area con qualsiasi elemento.

Durata dell’autorizzazione

Di regola l’autorizzazione è concessa per la durata di 29 anni, salve ovviamente successive modifiche o revoche del permesso. L’autorizzazione decade in caso di trasferimento della proprietà del passo carrabile, sempre che non venga inoltrata istanza di subentro dal nuovo proprietario entro gg. 60 dall’avvenuto trasferimento di proprietà. Gli interessati agli accessi laterali debbono inoltrare l’istanza al Comune per ottenere l’autorizzazione del passo carrabile, unitamente all’attestazione del versamento di €. 30.00.La domanda, in bollo e con allegata una seconda marca da bollo da apporre sulla autorizzazione, dovrà contenere le generalità del proprietario richiedente, il codice fiscale, la sua residenza e il domicilio, le necessarie indicazioni per l’individuazione del locale o dell’area interessata e dovrà contenere inoltre l’esplicita dichiarazione relativamente alle dimensioni del passo carrabile ed alle distanze dalla più prossima intersezione stradale.

Concessioni a titolo gratuito

Nessun passo carrabile potrà essere utilizzato a titolo gratuito, eccezion fatta per gli uffici della Pubblica Amministrazione, gli Uffici Giudiziari, le sedi delle Forze di Polizia, le associazioni di volontariato e ai portatori di handicap motorio.

Sanzioni

Tutti coloro che realizzino o mantengano passi carrabili senza la preventiva autorizzazione sono assoggettati al pagamento della sanzione amministrativa da un minimo di € 25.00 ad un massimo di € 150.00.

considerazioni: cosa è bene sapere?

Tuttavia è bene sapere che spesso vengono effettuata molte truffe da parte dei comuni che impongono il pagamento della tassa di autorizzazione anche quando non ci dovrebbe essere. E’ il caso del “passo a raso” in cui non c’è una interruzione sul marciapiede o modifiche del piano stradale che permettano, al proprietario dell’accesso, una posizione ed un uso diverso del marciapiede da quello di cui può fruire tutta la collettività”. Quindi se non c’è occupazione non c’è neanche tassa. Infatti l’articolo 44 del decreto legislativo n. 507/1993definisce i passi carrabili “quei manufatti costituiti da appositi intervalli lasciati nei marciapiedi o, comunque, da una modifica del piano stradale intesa a facilitare l’accesso dei veicoli alla proprietà privata”. Il problema è causato dai Vigili urbani che girano per far pagare la tassa agli ignari cittadini, facendo loro firmare una “richiesta di regolarizzazione”, che praticamente è una semplice richiesta del cartello di divieto di sosta, dietro pagamento del canone annuo.

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